LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Ha pronunciato la seguente ordlnanza, sul ricorso proposto da Ministero della sanita' in persona del Ministro in carica, domiciliato in Roma, via dei Portoghesi n. 12, presso gli uffici dell'Avvocatura generale dello Stato, che lo rappresenta e difende per legge, ricorrente; Contro I.P.Se.Ma. - Istituto di previdenza per il settore marittimo - successore ex lege della Cassa Marittima Tirrena, elettivamente domiciliato in Roma, via Giuseppe Palumbo n. 3, presso l'avv. Ugo Pansolli, che lo rappresenta e difende giusta delega in atti unitamente agli avv.ti Gianfausto Lucifredi, Lorenzo De Gregori, Piero Sardos Albertini, controricorrente, avverso la sentenza della Corte d'appello di Genova n. 446del 15 maggio 1995. Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 22 gennaio 2001 dal relatore cons. Luigi Macioce. Udito l'avvocato dello Stato Sabelli per la ricorrente amministrazione. Uditi gli avvocati Lucifredi e Pansolli per il controricorrente I.P.Se.Ma. Udito il p.m., in persona del sostituto procuratore generale dott. Marco Pivetti che ha concluso per l'accoglimento del ricorso. Rileva Con citazione del 19 luglio 1984 la Cassa Marittima Tirrena per gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali conveniva innanzi al tribunale di Genova il Ministero della sanita' ed esponeva: che per legge aveva gestito l'assicurazione obbligatoria per gli infortuni sul lavoro del personalenavigante; che aveva chiuso la gestione il 31 dicembre 1982 essendo stata l'assistenza sanitaria trasferita alla competenza del Ministero dal 1o gennaio 1983 e per effetto del decreto del Presidente della Repubblica n. 620/1980; che l'art. 12 di tale decreto aveva disposto che gli immobili delle soppresse gestioni sanitarie delle casse venissero trasferiti dal 1o gennaio 1981 al patrimonio dello Stato, con vincolo di destinazione agli uffici di porto ed aeroporto, nel mentre l'art. 1, quarto comma, del d.l. n. 632/1981, conv. in legge n. 767/1981, aveva statuito che gli immobili appartenenti alla gestione previdenziale delle casse, e destinati in prevalenza alle soppresse gestioni sanitarie, pur rimanendo in proprieta' delle casse fossero vincolati all'uso esclusivo dell'assistenza sanitaria del personale navigante; che per tal uso, e nonostante numerose richieste, il Ministero non aveva versato alcun corrispettivo ne' rimborsato la quota di oneri accessori. Su tali premesse la Cassa chiedeva la condanna del Ministero al rilascio dei suoi numerosi immobili utilizzati, al pagamento delle indennita' ragguagliate al canone UTE, al rimborso degli oneri. Il Ministero si costituiva deducendo l'infondatezza delle domande, posto che la Cassa aveva pur sempre conservato la proprieta' degli immobili in base a previsione di destinazione coerente con le linee della riforma del 1978. L'adito tribunale con ord. 3 novembre 1986 rimetteva alla Corte costituzionale la questione di legittimita' dell'art. 1, quarto comma, legge n. 767/1981 con riguardo alla assenza di indennizzo e per la violazione dell'art. 42 Cost. La Corte, con ordinanza n. 515/1987, dichiarava la questione manifestamente inammissibile perche' involvente profili di interpretazione della norma (che spettava al giudice valutare in termini - non esclusi - di onerosita' del rapporto e quindi con effetti di compatibilita' costituzionale). Il tribunale, pertanto, con sentenza non definitiva 23 ottobre 1989 condannava il Ministero a corrispondere dal 1o gennaio 1983 l'indennita' di occupazione degli immobili della Cassa ed a versare gli oneri di manutenzione e gestione. La pronunzia era, infine, confermata dalla Corte di Genova con sentenza 15 maggio 1995 che riteneva ineludibile l'affermazione della onerosita' del rapporto, essendo l'unica interpretazione costituzionalmente corretta. Per la cassazione di tale sentenza l'amministrazione della sanita' ha proposto ricorso con atto del 1o aprile 1996 denunziante la violazione dell'art. 1, quarto comma, del d.l. n. 632/1981, conv. in legge n. 776/1981. Ha resistito con controricorso l'I.P.Se.Ma. succeduto alla Cassa ex art. 2, d.lgs. n. 479/1994. Le parti hanno richiesto ripetuti rinvii della fissata udienza di discussione per la dichiarata prossimita' di un accordo a definizione dell'intera questione. Fissata altra udienza, e constatata l'inesistenza di tale intesa, acquisite memorie finali, i difensori hanno discusso oralmente e, sulle trascritte richieste del p.g., il collegio ha riservato di decidere. O s s e r v a 1. - La ricorrente amministrazione della sanita' imputa alla sentenza della Corte di Genova, che ha ritenuto spettare alla Cassa Marittima Tirrena un indennizzo per l'uso perpetuo ed irrevocabile che tale amministrazione effettua degli immobili della Cassa, la violazione dell'art. 1, quarto comma, del d.l. n. 632/1981, conv. in legge n. 767/1981, essendo l'utilizzazione perpetua e gratuita l'ineluttabile portata della lettera e della ratio legis ed in piena coerenza con le linee della riforma sanitaria. L'I.P.Se.Ma. - succeduto alle Casse Marittime nella titolarita' dei relativi patrimoni (decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 479) - non formula alcuna censura avverso la statuizione della sentenza che ha respinto il suo appello principale avverso la decisione di prime cure (reiettiva della domanda di rilascio-restituzione degli immobili) ma contesta l'interpretazione proposta dalla ricorrente e ribadisce che la lettura delle norme, nel senso della onerosita' della destinazione d'uso, sia, come avrebbe indicato Corte Cost. ord. n. 515/1987, l'unica possibile per l'interprete. Ristretto, dunque, il tema della decisione, per effetto della progressiva formazione del giudicato interno, alla sola questione della interpretazione della norma di cui al ridetto art. 1, quarto comma, decreto-legge n. 632/1981, nel senso della onerosita' o gratuita' della utilizzazione, pare al collegio che la sola lettura possibile della disposizione conduca alla affermazione della gratuita' e che, contestualmente, siffatta lettura non sia immune da gravi e concordanti sospetti di incostituzionalita' si' da obbligare questa Corte - astretta ad applicare detta norma per decidere del motivo del ricorso - alla remissione della questione alla Corte delle leggi. 2. - La corretta interpretazione del dato normativo - che questa Corte puo' condurre in assenza di alcuna opzione ermeneutica privilegiata, stante il tenore dell'ord. n. 515/1987 e la sua dichiarata natura di ordinanza di manifesta inammissibilita' della questione sottoposta dal rimettente - conduce, infatti, a negare che il legislatore intendesse prevedere alcuna forma di corrispettivo. Il dato letterale e' invero assai chiaro, la' dove statuisce un vincolo perpetuo degli immobili delle gestioni previdenziali delle casse, e gia' dalle stesse utilizzati per le soppresse gestioni sanitarie, alla utilizzazione sanitaria da parte dell'amministrazione, senza alcuna previsione di corrispettivo a favore delle casse che di tali immobili conservano solo la nuda proprieta'. Il testo e' poi inserito in un quadro di disposizioni di riforma che fa ritenere l'inequivoca assenza di previsioni di corrispettivo voluta per assimilazione alle scelte di sistema. Da un canto, infatti, e' significativa la analogia di formulazione della disposizione di cui all'art. 12, legge n. 620/1980 (richiamata, a fini di conservazione, dall'art. 1, quarto comma, in esame), la' dove l'espressione del vincolo di destinazione qualifica il rapporto tra nuova titolarita' proprietaria degli immobili delle casse-gestioni sanitarie (il patrimonio dello Stato) ed uffici utilizzatori (gli uffici sanitari di porto ed aeroporto). E dall'altro canto e' ancor piu' significativo che la norma in esame contenga espressione assolutamente omogenea a quella (vincolo di destinazione) portata dalle disposizioni generali di riforma sanitaria (artt. 65 e 66 della legge n. 833/1978) nel cui alveo anche le norme in esame vennero a collocarsi. E tanto le richiamate previsioni della legge del 1980 quanto le presupposte norme della riforma del 1978 intesero - con le riportate formule - imporre la destinazione legale a fini di pubblico interesse (e quindi in assenza di alcuna ipotesi di "corrispettivo") di immobili il cui riferimento proprietario rimaneva, per scelte politiche generali, soggettivamente distinto (sino alla scelta di unificare proprieta' ed utilizzazione, realizzata con l'art. 5, comma 1, decreto legisltivo n. 502/1992, modificato dall'art. 6, d.lgs. n. 517/1993). Ma se la lettera della norma, con l'inequivoco silenzio su qualsiasi previsione di onerosita', e la sua ratio, volta a ricondurre la operata scissione tra proprieta' ed uso nel solo alveo delle scelte organizzative di amministrazione pubblica, sono del tutto coerenti con il quadro normativo di riferimento, parrebbe eversivo dei principi ipotizzare che la norma de qua possa ricevere una sorta di eterointegrazione da istituti civilistici (quali la locazione o, di converso, il comodato e l'usufrutto) onde mutuarne regole di corrispettivita', dovendo l'interprete dare della norma lettura coerente con il (solo) sistema normativo di appartenenza. E del resto, e conclusivamente, appare al collegio significativo della inesistenza di alcuna previsione implicita di corrispettivita' della destinazione d'uso in esame il fatto che i giudici di merito abbiano nella specie avvertito la difficolta' di sostanziare la declaratoria dell'an debeatur di un qualche riferimento normativo ed abbiano ripiegato sulla ipotesi della autosufficienza della declaratoria iuris. 3. - Se dunque, l'interpretazione della norma conduce ad affermare che la conservazione alla Cassa Marittima della nuda proprieta' dei suoi immobili, gia' assegnati alla gestione previdenziale ma adibiti ad uso prevalentemente sanitario, e la utilizzazione legale di essi, perpetua ed irrevocabile, da parte delle articolazioni locali del Ministero della sanita', non implica alcuna previsione di corrispettivo od indennizzo a beneficio della stessa Cassa (in coerenza con le scelte di riforma di cui agli artt. 65 e 66 della legge n. 833/1978), dalla stessa interpretazione nasce il sospetto del conflitto della previsione con i valori costituzionali protetti dagli artt. 3 e 38, quarto comma, della Carta fondamentale. Di converso non appare al collegio nella specie direttamente invocabile la garanzia di indennizzo per l'ablazione della proprieta' privata (art. 42 Cost.), stante l'estraneita', dall'ambito delle garanzie statuite da tale previsione, delle scelte del legislatore di dislocare tra enti pubblici le risorse destinate al pubblico servizio ed in occasione di interventi di soppressione o riorganizzazione degli enti preposti (e sul punto si e' espressa l'ordinanza n. 313/1988 della Corte costituzionale). 4. - Appare, invece ed in primo luogo, irragionevole la scelta di adottare per la descritta situazione (correlata allo scorporo dalla Cassa della gestione sanitaria del personale navigante) un modello organizzativo (quello del vincolo gratuito di destinazione d'uso) utilizzato dalla riforma sanitaria (art. 65 legge n. 833/1978) per regolare il passaggio della proprieta' immobiliare (ai comuni) e dell'uso (alle U.S.L.) degli immobili gia' pertinenti ad enti, casse e gestioni soppresse. Se nessuna incongruita' emerge, infatti, dalla ripartizione anzidetta di proprieta' ed uso e dalle correlate disposizioni gratuite, nel caso in cui la riorganizzazione presupponga la estinzione dell'ente gia' titolare di proprieta' e godimento, appare irragionevole l'adozione della stessa scelta della gratuita' della destinazione d'uso le volte in cui l'ente gia' titolare delle due situazioni rimanga erogatore del servizio al cui modulo organizzativo pertinevano quei beni e si veda conservare una proprieta' priva di contenuti e negare, perpetuamente quanto irrevocabilmente, alcun corrispettivo. Ne' varrebbe, a restituire ragionevolezza a tale equiparazione, richiamare le previsioni di cui all'art. 66, legge n. 833/1978 (assumendo, come assume l'avvocatura erariale, che rispetto ad esse l'art. 1, quarto comma, d.l. n. 632/1981 costituirebbe insperato vantaggio per le casse, che degli immobili avrebbero pur conservato la proprieta'), posto che e' ben vero che in tal previsione l'ente, privato di proprieta' e godimento dell'immobile, sopravvive, ma e' pur vero che si tratta di province, consorzi tra enti locali ed IPAB dalla cui sopravvivenza esula comunque alcuna residua competenza previdenziale od assistenziale. Se dunque il contesto normativo di riferimento puo' essere solo quello della disciplina dell'attribuzione degli immobili gia' pertinenti a casse mutue e gestioni previdenziali soppresse (art. 65, legge n. 833/1978), non appare immune da sospetti di irragionevole equiparazione la scelta del modello dell'assegnazione in uso gratuito degli immobili anche per le Casse marittime che, lungi dall'essere soppresse, permangono attributarie della gestione dell'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro per il personale navigante e che, avendo utilizzato anche (se pur non in prevalenza) per tale gestione quegli immobili (art. 1, quarto comma, cit.), vengono della relativa disponibilita' private gratuitamente. 5. - Emerge, infine, dal riferito quadro normativo il sospetto di grave vulnus inferto al valore costituzionale della organizzazione di una struttura previdenziale in grado di garantire ai lavoratori naviganti - con effettivita' ed equilibrio - le previste prestazioni per il rischio di infortunio e malattia professionale. E si tratta del valore tutelato dal quarto comma dell'art. 38 della Costituzione sul quale la Corte delle leggi ha avuto recente e piu' remota occasione di pronunziare (Corte costituzionale sentt. 36/2000 e 160/1974). Se, infatti, e' obbligo dello Stato assicurare che le prestazioni in discorso siano effettivamente erogate e se la scelta al proposito e' da tempo caduta sul sistema della assicurazione contro il rischio dell'evento, con l'indefettibile apprestamento di capitali di copertura delle riserve matematiche, ne consegue che, emergendo ex actis la destinazione degli immobili in contestazione proprio al ruolo di capitali di copertura a garanzia della erogazione delle prestazioni in favore del personale marittimo assicurato, la destinazione ad uso gratuito del Ministero della sanita' degli stessi immobili fa sorgere il sospetto della idoneita' della legge (l'art. 1, quarto comma,d.l. n. 632/1981, conv. in legge n. 767/1981) a consentire lo svuotamento sostanziale della garanzia stessa. Non si scorge, infatti, come possa assegnarsi alcun apprezzabile valore - nel rispetto del principio di veridicita' delle iscrizioni - ad immobili incommerciabili e privati in perpetuo di alcuna redditivita'. E poiche' tale interpretazione induce a ritenere che la scelta legislativa sia idonea ad esporre a rischio l'efficienza dell'azione istituzionale dell'I.P.SE.MA. nella gestione della previdenza gia' erogata dalle soppresse Casse Marittime, con possibile vulnus al precetto di cui al cennato art. 38 Cost., pare al Collegio non manifestamente infondata, anche sotto tal profilo, la questione di costituzionalita' della norma. 6. - Ne', da ultimo, una previsione di canone a carico dell'amministrazione per l'utilizzazione degli immobili delle gestioni previdenziali delle Casse Marittime sarebbe stata eversiva dei principi. Basti solo rammentare che con la sopravvenuta legge 11 luglio 1986 n. 390, ad oggetto, tra l'altro, la disciplina delle concessioni - locazioni degli immobili del patrimonio statale in favore delle unita' sanitarie locali, si e' inteso prevedere che le concessioni-locazioni di durata non superiore ai 19 anni fossero assentite per un canone ricognitorio non superiore al 10 per cento di quello determinabile, secondo i dati dell'UTE, alla stregua dei "valori in comune commercio". E se tali previsioni, stante la loro pertinenza agli specifici rapporti tra demanio - patrimonio dello Stato ed U.S.L., sono evidentemente insuscettibili di applicazione analogica, da parte di questa Corte, a rapporti tra patrimonio delle Casse Marittime ed amministrazione della sanita' regolati in termini di inequivoca gratuita', esse attestano l'esistenza di scelte di politica legislativa che ritengono il corrispettivo un dato non estraneo alla natura pubblica dei due soggetti e ne regolano la consistenza unitamente a quella degli oneri di manutenzione (art. 1 commi 1 e 2 legge cit. e d.m. 25 febbraio 1987 adottato sulla base dell'art. 2 della stessa legge). Sulla base delle esposte considerazioni - ritenuta la rilevanza e la non manifesta infondatezza delle questioni di legittimita' costituzionale afferenti la norma richiamata in ricorso, ed in causa applicabile - si procede, previa sospensione del procedimento e con l'espletamento degli incombenti di legge, alla rimessione della relativa decisione al giudizio della Corte costituzionale.